Non si può non comunicare. Recita il primo assioma della comunicazione, tra quelli definiti da Paul Watzlavick e dagli altri studiosi della Scuola di Palo ALto
Molto di ciò che va al di là delle parole ha valore comunicativo, anche i silenzi influenzano il processo comunicativo che viene, dunque, influenzato producendo risposte.
Cosa succede quando la comunicazione tra individui risulta essere poco chiara, chiusa o nebulosa?
La mancanza di chiarezza interviene quando siamo confusi rispetto all’argomento esposto o quando i messaggi vengono comunicati in maniera non esplicita creando così dei fraintendimenti. Ha luogo così la miscomunicazione, un luogo della comunicazione in cui soggiace lo scarto tra il detto e il non detto. SI genera il fenomeno per cui si dice qualcosa per dire qualcos’altro. Si dice per non dire.
È possibile che questo fenomeno si produca in maniera involontaria per uno svariato numero di motivi. Ma di frequente la discomunicazione è caratterizzata da opacità intenzionale, in quanto l’intenzione del parlante è diversa da quella in realtà espressa. Un po’ come accade nella comunicazione propagandistica o nella comunicazione dei processi di vendita basati su metodi persuasivi o anche in un gran numero di pubblicità o campagne di marketing. A seconda delle circostanze, nei contesti precedentemente menzionati, verrà utilizzata la
ironica, la discomunicazione menzognera, la discomunicazione seduttiva. In tutti e tre i casi l’essere ambiguo e il “dire qualcosa per qualcos’altro” non è casuale, ma rispecchia una precisa volontà del parlante. Siamo oramai abituati a dibattici politici in cui i rappresentanti dell’una o dell’altra fazione si trasformano in intrattenitori di platee, o pubblicità in cui l’aspetto emotional o ammiccante fa da apripista a prodotti che nulla hanno a che vedere con la seduttività. Eppure nonostante sia evidente l’intento di chi fabbrica questo genere di messaggio comunicativo, in qualche modo ci facciamo influenzare, cadendo talvolta nella trappola discomunicativa.
Analizzando la comunicazione menzognera, però, molto presto scopriamo che non si tratta di un processo unidirezionale ma, piuttosto, di un gioco a due tra mentitore e destinatario, come saggiamente insegnano Goffman e Anolli, 2003. La Deceptive Miscommunication Theory, del secondo dei due, ci aiuta a capire che è bene distinguere tra mentitore abile, capace di far apparire come verosimile il falso o ingenuo, che invece lascia trapelare diversi indizi di trapelamento che renderanno alla fine evidente la sua bugia. Nel contempo la medesima teoria ci fornisce degli indizi per comprendere se noi in prima persona facciamo parte dei destinatari ingenui che si bevono la qualunque perché disposti a prendere per veritiero ciò che dice il mentitore o di quelli sospettosi che pongono domande per trovare le prove dell’inganno non appena emerge una qualche discrepanza, stringendo un cerchio sempre più stretto attorno al mentitore, e che nell’impossibilità di porre delle domande dirette alla persona oggetto dell’analisi, pongono qualche domanda in più a se stessi prima di appiattirsi passivamente alle presunte verità provenienti dalle più disparate fonti (social inclusi…). E tu in quale categoria ritieni di poterti collocare?

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