
Ogni essere umano possiede una mente che si può dividere in tre livelli: grossolano, sottile e più sottile. La stessa cosa vale per il corpo: abbiamo un corpo grossolano, uno sottile e uno più sottile. La coscienza grossolana è quella legata ai cinque sensi, che usiamo quotidianamente. Questa è la coscienza che percepisce il mondo sensoriale. La coscienza sottile, invece, può includere aspetti come l’intuizione egoica o anche superstiziosa. Questi aspetti, però, non sono facilmente visibili o comprensibili, perché la mente grossolana, sempre occupata, li oscura.
La coscienza sottile emerge quando la mente grossolana smette di essere attiva. Questo spiega perché, nel Buddhismo tibetano e nel Tantra, si parla spesso di eliminare i concetti grossolani per fare spazio alla coscienza sottile, affinché questa possa manifestarsi. Questo è l'obiettivo del Tantra: eliminare il superfluo per permettere alla coscienza sottile di funzionare.
La mente grossolana, purtroppo, non ha forza né potere reale. Anche se può comprendere qualcosa, manca di energia e vigore. Al contrario, la coscienza sottile ha una potenza maggiore: può penetrare e comprendere in profondità. Ed è qui che entra in gioco la meditazione, che serve proprio a calmare la mente grossolana e occupata, permettendo alla coscienza sottile di emergere. In un certo senso, la meditazione replica il processo della morte, in cui la mente grossolana si dissolve.
Questo tipo di meditazione, legata al processo di morte, richiede concentrazione forte e univoca. Nel Buddhismo, si spiega che quando eliminiamo la mente superficiale e grossolana, possiamo sperimentare la realtà universale, il vuoto, o sunyata. Anche chi non ha mai avuto un concetto chiaro del sunyata, durante il processo di morte può sperimentare, in una certa misura, questo stato. Perché accade? Perché la mente occupata si dissolve, e nella coscienza si manifesta una profonda esperienza di vuoto.
Eliminando i concetti grossolani e affollati, possiamo creare uno spazio, una sensazione di vuoto. Non un vuoto privo di significato, ma un vuoto che deriva dal fatto che i concetti sovraccaricati sono spariti. Quando questo accade, sperimentiamo il sunyata. Tuttavia, descrivere il sunyata può sembrare complicato, e la filosofia buddhista stessa può risultare molto sofisticata. Ma quando si arriva all'esperienza concreta, ci rendiamo conto che il sovraccarico di concetti e superstizioni era ciò che ci bloccava.
La nostra realtà è spesso coperta da strati, come pesanti coperte di superstizioni e concetti grossolani. Queste "coperte" sono stratificate come il Monte Everest: ci avvolgono e ci immobilizzano. Nel Buddhismo, la meditazione serve a rimuovere queste coperte, una alla volta, con pazienza.
Per fare questo, dobbiamo prima comprendere la nostra mente. La mente non è una sostanza materiale, ma un’energia di pensiero, un’energia di coscienza. Non ha colore né forma. La sua natura è pulita e chiara, capace di riflettere la realtà. Anche se pensiamo che la mente sia negativa, il suo nucleo rimane chiaro e puro. La coscienza, come lo spazio, non si mescola con le nuvole o con l'inquinamento. Allo stesso modo, la nostra coscienza non è intrinsecamente negativa.
Il Buddha stesso insegna che ognuno di noi ha una natura pura e chiara, chiamata natura di Buddha. È fondamentale riconoscere che questa natura non è totalmente negativa.
La nostra coscienza possiede due caratteristiche: una relativa e una assoluta. La caratteristica relativa non ha elementi di natura negativa o superstiziosa, quella assoluta rappresenta la non-dualità.
La non-dualità della coscienza significa che non è contaminata da confusione, emozioni o disturbi. È sempre pulita e chiara, come un oceano. L’ego e i conflitti sono come onde che si muovono sulla superficie dell’oceano, ma non ne alterano la profondità. Queste onde rappresentano desideri, odio e ignoranza. Attraverso la meditazione, possiamo imparare a non essere scossi da queste onde, mantenendo la nostra coscienza stabile e chiara.
Meditare significa rispettare la propria natura e purezza. Quando impariamo a rispettare noi stessi, iniziamo a rispettare anche gli altri. Se ci percepiamo come un problema, come egoisti o senza speranza, tenderemo a giudicare gli altri nello stesso modo. Questo è pericoloso.
Spesso, la nostra percezione sensoriale ci inganna. In Occidente, siamo abituati a considerare reale solo ciò che possiamo toccare e vedere. Questo tipo di percezione sensoriale è superficiale e limitata: non ha la forza di discriminare ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Per questo, nella meditazione, chiudiamo queste percezioni sensoriali e ci concentriamo sulla nostra coscienza.
Osservare i pensieri e le motivazioni che emergono dalla nostra coscienza è sufficiente per iniziare a meditare. Non dobbiamo preoccuparci se i pensieri sono buoni o cattivi, perché entrambi riflettono la realtà fenomenica. La meditazione è un risveglio della coscienza, uno stato in cui siamo pienamente consapevoli senza reagire o giudicare.
Quando sperimentiamo la non-dualità, comprendiamo una visione più ampia della realtà. Non significa negare la realtà convenzionale, ma trascenderla. Durante la meditazione, dobbiamo fermare il dibattito interno e le conversazioni mentali. Non si tratta di distruggere ciò che percepiamo, ma di sviluppare una consapevolezza totale. Nel momento in cui raggiungiamo la non-dualità, le convinzioni grossolane su noi stessi e sul mondo svaniscono, lasciando spazio a una profonda chiarezza.
In questo stato, non ci preoccupiamo più di apparenze o giudizi.
La meditazione elimina tutte le concezioni errate e le costruzioni egoistiche, portandoci a un livello di consapevolezza pura e semplice.
Meditare non significa perdersi, ma lasciar andare tutto ciò che ostacola la nostra coscienza, permettendole di esprimersi nella sua essenza più autentica.
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